Nuove forme di allevamento, di
facile gestione agronomica e ad alta densità, si stanno sviluppando nella
coltivazione del nocciolo anche in Italia, nonostante lo scetticismo rimanga
diffuso, poiché si ha spesso timore ad aprirsi all'innovazione.
La stragrande maggioranza
degli impianti di nocciolo a livello mondiale è gestita con il sistema
multicaule o detto "a cespuglio". Una forma di allevamento classica,
in cui una ceppaia emette diversi polloni diventando così una pianta che raggiunge
anche i 5 m di altezza, dotata di formazioni fruttifere spesso distribuite solo
nelle parti apicali, più esposte alla luce.
Tipico noccioleto adulto multicaule in Piemonte durante il riposo vegetativo
C'è chi negli ultimi anni ha avuto il coraggio di sperimentare e riconvertire i suoi impianti. È il caso di Marcello Giangreco, imprenditore agricolo non di professione e proprietario della Tenuta Roncigliano, situata alle porte di Roma: "Quando acquistammo l'azienda, era già presente un noccioleto di 33 ettari di varietà classiche italiane, allevato con il sistema tradizionale e al settimo anno dalla messa a dimora. Un grossa piantagione che mi costringeva però a disporre di una manodopera esagerata in determinati momenti dell'anno. Occorreva una squadra di 15 potatori impegnati per 20 giorni solo per rimuovere i polloni che periodicamente fuoriuscivano.
Mi sono documentato per trovare una soluzione
senza dover estirpare le piante. Dopo attente valutazioni, ho deciso di
riconvertire l'impianto da multicaule a monocaule. La trasformazione del
noccioleto, partita nel febbraio del 2023, ha interessato dapprima un solo
appezzamento, proprio per consentirmi di fare un paragone con il sistema precedente.
I risultati in campo si sono visti già a luglio dello stesso anno, mostrando
una pianta in ottimo equilibrio tra l'attività di accrescimento vegetativo e
l'emissione di ramificazioni a frutto".
a destra, nella foto, il noccioleto allevato tradizionalmente a confronto con piante monocaule, tra l'erba spontanea, derivanti dalla potatura di riforma in fase di ripresa germogliamento.
E riprende: "Volevo
ridurre i costi di gestione della coltivazione rendendola meccanizzabile,
aumentare le rese per ettaro, ottenere produzioni con calibri più elevati,
ottimizzare l'impiego delle risorse idriche e nutrizionali e avere una pianta
con uno sviluppo più armonioso".
Tra i sostenitori del monocaule troviamo l'agronomo Vito Vitelli, il quale spiega: "La mission è condividere e applicare insieme agli agricoltori alcuni concetti al fine di abbandonare un sistema di allevamento tradizionale a favore di una forma alternativa ad alberello, che abbia un apparato radicale, un unico e solo tronco e una chioma ben definita. Da una struttura cespugliosa si ottiene dunque una pianta a vasetto, tipica delle specie fruttifere. In effetti, avere una serie di tronchi che partono dalla base non è molto pratico: uno spreco di massa legnosa, che, prima di poter diventare un sistema a frutto, deve ergersi per oltre 2 m.
Sarebbe auspicabile che quanto realizzato nell'azienda di Giangreco venga riprodotto da altri agricoltori, ancorati a vecchi schemi ormai obsoleti e che sottovalutano i vantaggi ottenibili in termini agronomici ed economici dalla corilicoltura. Per i nuovi trapianti, la cosa poi diventa ancora più semplice, in quanto si parte da zero, arrivando a 700-800 piante/ettaro, con un sesto di impianto 5,5 m x 2,5 m oppure 6x3 m e 6-8 kg/pianta".
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L'obiettivo è avere piante
facili da gestire, snelle, con formazioni fruttifere ben distribuite tra le
corte strutture portanti, in cui vengono potenziate le rese di produzione e
sulle quali si riesce facilmente a sostituire l'uomo con le macchine, considerata
la forte carenza di manodopera.
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La riconversione del cespuglio di nocciolo viene praticata mediante una potatura di riforma, che consente di ottenere un solo tronco, agevolando quindi la fase di raccolta e di gestione dei germogli basali.
"Si effettuano dapprima tagli rasi al suolo su tutti
i polloni – riprende Vitelli - eliminando le ripartenze dalla base e
individuando quello che si vuole mantenere e che diventerà presto l'asse
principale e che sarà impalcato a circa 60-75 cm dal terreno. Per i primi 2-3
anni, gestiremo le emissioni di polloni con specifici prodotti spollonanti
oppure meccanicamente. Negli anni successivi, l'attività pollonifera tenderà
gradualmente a diventare meno importante".