sabato 20 dicembre 2025

Mandorle ai piedi delle Alpi: il “modello Verona” e il sistema Zaragoza



Coltivare mandorle in Veneto, a pochi chilometri dalle Alpi, può sembrare una sfida impossibile. Eppure, in provincia di Verona questa ipotesi si sta trasformando in una realtà produttiva concreta e tecnicamente solida. Nel mandorleto di Giacomo Bonsaver, a Bussolengo, l’Agronomo Vito Vitelli analizza un impianto che rappresenta un esempio avanzato di adattamento di una coltura mediterranea a un contesto climatico complesso, grazie all’applicazione rigorosa di tecniche agronomiche moderne.

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L’impianto è realizzato ad alta densità, ma non rientra nel superintensivo. La densità è di circa 700–800 piante per ettaro, con sesti di impianto intorno ai 5 x 2,75 metri. Il sistema di allevamento adottato è il Zaragoza, che si basa su un principio chiave: la gestione geometrica della chioma per massimizzare l’intercettazione della luce e garantire una produzione equilibrata lungo tutta la parete vegetativa.

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La pianta viene modellata secondo una sagoma a tronco di piramide inclinata, mentre l’interno deve rimanere libero, arieggiato e privo di rami strutturali, secondo il concetto del “cono di luce” e del cosiddetto “palmo della mano” privo di piccolo ramificazioni in corrispondenza dell’impalcatura. Questo assetto evita ombreggiamenti dannosi e favorisce la formazione di rami fruttiferi ben illuminati.

Un elemento centrale della gestione è la potatura meccanizzata, eseguita con barra a doppio taglio, non con lame rotanti, per garantire un taglio netto e preciso. L’intervento segue regole ben definite: il punto di snodo della barra si colloca a circa 1,5–1,6 metri dal tronco e il taglio viene effettuato con un’inclinazione di circa 33–35 gradi. Questa inclinazione è fondamentale per consentire alla luce di raggiungere anche le porzioni basse della chioma, evitando che la parte superiore ombreggi quella inferiore.

Nel caso specifico, la varietà coltivata è Tuono, caratterizzata da una forte tendenza ad aprirsi e sbrancarsi lateralmente sotto il peso dei frutti. Il taglio inclinato consente di contenerne lo sviluppo, migliorare l’equilibrio vegeto-produttivo e stimolare la formazione di nuove ramificazioni interne, più deboli e assurgenti. Nel giro di due o tre stagioni, questi rami si arricchiscono di dardi fioriferi, assicurando la produzione futura. Il taglio meccanico funziona quindi come un vero e proprio taglio di ritorno strutturale.

Coltivare mandorli in un’area settentrionale significa affrontare anche il rischio delle gelate primaverili. In questo impianto la difesa è affidata a un sistema antibrina sovrachioma che utilizza acqua di pozzo a una temperatura di circa 13–16 °C. Sfruttando l’energia termica dell’acqua e il cosiddetto “effetto igloo”, il ghiaccio che si forma attorno ai fiori impedisce che la temperatura degli organi vegetali scenda sotto la soglia critica. Il sistema ha dimostrato la sua efficacia anche in notti con temperature fino a –4 °C. Durante il periodo estivo, lo stesso impianto svolge una funzione climatizzante, contribuendo a raffrescare la chioma e a ridurre la pressione di parassiti come gli acari (ragno rosso).

Dal punto di vista economico, l’obiettivo è raggiungere una produzione di circa 5-7 kg di mandorle per pianta, pari a circa 40-45 quintali per ettaro, considerata la soglia minima per garantire la sostenibilità economica dell’impianto. La vicinanza a Verona, sede di importanti industrie dolciarie, e la possibilità di vendita diretta di un prodotto locale ad alto valore aggiunto permettono di spuntare prezzi interessanti, giustificando l’investimento in un sistema tecnologicamente avanzato.

Il modello Verona dimostra che il sistema Zaragoza, se applicato con rigore e supportato da adeguate strutture di protezione, consente al mandorlo di esprimere il proprio potenziale produttivo anche al di fuori degli areali tradizionali. Una frutticoltura moderna, basata su luce, forma e controllo climatico, capace di guardare avanti senza improvvisazioni.

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